I micro-contenuti non vanno sottovalutati: sono piccini, sì, ma hanno un ruolo cruciale per la buona riuscita degli obiettivi che abbiamo fissato per il nostro ecommerce, o per la newsletter, o per i social.
In questo articolo ci concentriamo in particolare sulla call to action, un termine tecnico che significa “invito all’azione”. Quelle poche parole, insomma, che troviamo nei pulsanti o nei link e che ci chiedono di fare qualcosa, come iscriversi, acquistare, scaricare una guida.
Per farci raccontare cos’è una call to action e come si progetta in modo che funzioni davvero, abbiamo intervistato Luisa Carrada. Luisa è la pioniera italiana della scrittura per il web.
Di mestiere scrive e insegna a scrivere testi aziendali chiari, semplici, precisi: utili, insomma. Ha cominciato offline, ma si è subito innamorata di internet. Tant’è che il suo sito “Il mestiere di scrivere” è online dal 1999 e il suo blog dal 2003.
Sin da allora mette a disposizione dei lettori tutta la conoscenza acquisita in tanti anni di lavoro e studio appassionati. Perciò chi meglio di Luisa per saperne di più su questi contenuti tanto micro quanto potenti?
Insieme a lei scopriremo come tanti, piccoli dettagli riescono a fare la differenza negli ambienti digitali.
Cosa sono i micro-contenuti
La call to action fa parte di un insieme molto ampio di quelli che oggi chiamiamo micro-contenuti o microcopy. Testi brevi che online troviamo ovunque. Come li definiresti?
La parola ce lo racconta, sono dei contenuti piccolini. A chiamarli micro-contenuti agli albori del web fu Jakob Nielsen, il famoso guru dell’usabilità, che adesso chiamiamo user experience.
Oggi li chiamiamo microcopy come invece li battezzò Joshua Porter, che ha dato loro una definizione molto azzeccata:
Le poche parole giuste, nel punto giusto e al momento giusto.
Una descrizione che trovo bellissima perché spiega che i micro-contenuti non solo sono piccolini, ma sono anche testi un po’ diversi dagli altri, che si collocano in quei momenti di snodo importanti, in quei momenti in cui noi utenti siamo sulla soglia di fare qualcosa. Perché in genere accompagnano un’azione che si fa sul web.
“Le poche parole giuste, nel punto giusto, al momento giusto” ci fa anche capire un’altra cosa: che il microcopy non vive solo di quelle parole, vive anche di una certa collocazione e di una certa tempestività. Per essere efficace, deve arrivare in quel punto lì della pagina e in quel momento lì dell’esperienza utente. Momento della lettura e momento del viaggio, del customer journey come si dice oggi.
L’altra definizione che amo ha un po’ di anni, ma secondo me rimane più che valida. È quella di Nielsen, che scrisse che i micro-contenuti sono "perle di chiarezza".
Secondo me ci sta tutta la metafora: sono testi piccoli come le perle, molto brevi; ma le perle sono anche tonde e i nostri microcopy devono essere compiuti, autoconsistenti, autonomi, anche se più avanti vedremo che non sono poi così autonomi.
Tondi anche perché come le perle hanno una superficie liscia, quindi non hanno irregolarità e nella user experience l’irregolarità è una cosa che dà una piccola frizione e invece sui microtesti dobbiamo proprio scivolare senza neanche accorgercene. Gli anglosassoni dicono che l’esperienza per l’utente deve essere frictionless, senza attrito. E quando noi parliamo di lettura, l’attrito è una piccola ambiguità, una piccola incomprensione, a volte è un suono che non ci piace tanto.
Cose che magari ci sembrano poco rilevanti e invece negli ambienti digitali contano tantissimo.
Le perle sono anche lucenti. È vero che i microcopy devono avere una loro autonomia, tant’è che li dobbiamo anche distinguere dagli altri contenuti, però devono anche rispecchiare tutto quello che c’è intorno. Un buon microcopy non è quello che da solo è efficacissimo ma è quello che con coerenza riflette il contesto in cui vive.
I microcopy sono importanti anche perché ce ne sono davvero tanti:
- sono le parole che ci dicono come riempire un form
- sono le paroline in grigio che stanno dentro i campi dei form che ci suggeriscono cosa scriverci
- sono i messaggi di errore
- sono i messaggi di conferma (“ok”, “grazie”, “pagamento avvenuto”, e così via)
- sono le parole che leggiamo mentre aspettiamo che si carichi una pagina.
E poi naturalmente le regine dei microcopy sono le call to action, che troviamo quando ci sono pulsanti o link che ci invitano a fare qualcosa.
L’obiettivo della call to action
E di preciso cos’è e a cosa serve una call to action?
La call to action è quel testo che prende una certa forma visiva e che deve essere una spinta a compiere un’azione che noi ci auspichiamo l’utente faccia.
Le azioni possono essere le più varie. Da “leggi il post del blog” a “scarica l’ebook”, da “riempi il form” a “iscriviti alla newsletter”, fino a quello che poi tutti si augurano: “compra”.
La call to action dovrebbe essere una spinta molto gentile. Perché nessuno di noi compie un’azione se qualcuno gli dà uno spintone.
Sono poche parole cruciali perché nel momento in cui arriva la call to action ci giochiamo tutto il lavoro che abbiamo fatto prima. Non solo per preparare quello che c’è nella pagina, ma anche nel sito, anche e addirittura quello che abbiamo elaborato e costruito negli anni.
Come progettare una call to action per ecommerce
E quindi, per non buttare tutto il lavoro alle ortiche, come dobbiamo progettare una call to action e dove dobbiamo collocarla?
In genere la call to action si colloca verso la fine, come il punto di arrivo di un percorso. Però la call to action fa parte di un insieme di contenuti, come ad esempio una sales page, e non la possiamo pensare da sola.
Quello di cui ci dobbiamo preoccupare quando scriviamo questi testi è che l’azione che chiediamo all’utente di compiere dovrebbe essere percepita come qualcosa di naturale, semplice e senza il minimo intoppo.
Per questo, per prima cosa, la call to action deve essere esplicita. Non dobbiamo fare i timidi: se vogliamo che il nostro utente faccia qualcosa, glielo dobbiamo dire con molta semplicità e con molta chiarezza, senza ambiguità.
Secondo: dobbiamo usare poche parole ma quelle giuste. Giuste significa che devono essere parole precise. Faccio un esempio classico ma sempre molto significativo e chiaro: “Scopri di più” è la negazione, l’antitesi di un messaggio preciso. Non tanto perché è inflazionato, ma perché anticipa pochissimo, praticamente nulla, su quello che ci aspetta dopo il clic.
Invece una delle cose fondamentali, che vale per i microcopy ma anche per tutta la scrittura digitale, è la capacità di anticipare, di dare un piccolo assaggio di quello che viene dopo. Se io scrivo “Scopri di più” non so se dietro c’è un post da leggere, un video da guardare, una galleria di foto, un catalogo, un podcast, oppure un ebook che approfondisce il prodotto, o uno sconto.
“Scopri di più” ha due difetti:
- “scopri” non dice niente;
- “di più” non ci dice il cosa.
Quindi se noi invitiamo a leggere un post sul blog della nostra azienda dovremmo scrivere “leggi”, se c’è un video da guardare dovremmo scrivere “guarda”, se c’è una galleria di foto “scorri”, un catalogo “sfoglia”, un dossier o un testo più corposo “approfondisci”, se c’è uno sconto o un’offerta “risparmia”. Si deve essere molto precisi.
Terza cosa che mi sento di raccomandare, è che non bisogna essere originali a tutti i costi. Jakob Nielsen, che da vent’anni fa ricerca sull’esperienza degli utenti online e sulla scrittura per il web, ci ricorda che va bene usare parole comuni: a noi sembra di vederle ovunque ma non è un problema, perché vuol dire anche che tutti capiscono esattamente cosa c’è dietro.
Non dobbiamo avere paura di scrivere “acquista”. L’originalità, volendo, può stare intorno. L’originalità poi richiede di essere molto sostenuta. Tutti i microcopy sono un po’ un’orchestra perché devono contribuire al tono di voce complessivo, per questo essere poi troppo originali, soprattutto nei siti grandi, è molto complicato. Però tra la cosa straoriginale e la cosa banale si trovano facilmente delle buone giuste misure.
Certo, se siamo bravi a essere originali, allora possiamo farlo. Ma ci vuole tanto lavoro e dobbiamo essere dei copy strepitosi.
Penso alla testata online Il Post che nella sua newsletter, ogni santo giorno dal lunedì al venerdì, accompagna il pulsantino condividi con una call to action sempre diversa. E ci sono moltissime persone, me compresa, che arrivano in fondo e se la leggono tutta per vedere cosa mai si sono inventati quel giorno. Però bisogna avere quel tipo di taglio, quell’originalità e la capacità di sostenerla, appunto.
L’altra cosa importante che mi sento di consigliare, che non è obbligatoria ma aiuta, è di assumere il punto di vista dell’utente nella formulazione testuale. E quindi “Iscriviti” può diventare “Grazie, mi iscrivo”. Se tutto quello che viene prima è molto ben formulato, quel “Grazie, mi iscrivo” è come se anticipasse il pensiero della persona che legge.
Ma in ogni caso sempre meglio un normale “Iscriviti” rispetto alla versione con il punto esclamativo (“Iscriviti!”) che fa l’effetto di uno spintone. O rispetto a un’originalità un po’ spinta, quasi ostentata, che non risulta naturale. Penso per esempio a un invito a un evento informale la cui call to action era “Accattati una sedia”. Ecco, meglio evitare. La naturalezza in questo tipo di testi conta davvero tanto.
Ultimo punto da non dimenticare è che la call to action si deve vedere molto bene. Scriverla bene è essenziale ma poi consideriamo che contano tantissimo la forma, il punto in cui è collocata, il font, il colore. L’aspetto visivo, insomma.
Come far cliccare la CTA all’utente
Abbiamo detto che con la call to action chiediamo al nostro utente di compiere un’azione. Ma come si fa a motivarlo, a fare sì che clicchi sul pulsante?
L’utente non si motiva semplicemente con la call to action. Anzi, mi viene da dire proprio che non si motiva con la call to action: si motiva con tutto quello che abbiamo scritto prima, con tutto il testo che ci ha condotto fino alla call to action.
Bisogna sempre pensare che la call to action è un punto di arrivo, è una soglia tra una condizione in cui non ho ancora compiuto l’azione e il momento in cui io vado oltre.
Perché la spinta di cui parlavamo prima sia gentile, si deve prendere un po’ la rincorsa: bisognerebbe portare il nostro utente alla call to action avendogli prima prospettato le piacevolissime conseguenze della sua azione. Prima di arrivare alla call to action l’utente deve essere ben convinto che cliccare conviene.
Noi compiamo un’azione se qualcuno ci parla di noi, di come possiamo vivere meglio, di come cambiare le cose, di come possiamo farle con più piacere e meno fatica.
Quindi, per esempio, dobbiamo dire all’utente che può risparmiare il 50% se viaggia in certe ore, che può comprare un fondotinta che gli toglie dieci anni oppure che se compra le piante del mio vivaio arriva il giardiniere a casa e gli spiega come curarle.
Ecco, la persona che legge deve arrivare alla call to action con una visione in mente, una visione piacevole: a quel punto farla cliccare anche se c’è scritto solo “Compra” è molto più facile.
Ecco perché dicevo che la call to action deve essere anche lucente, cioè deve un po’ rispecchiare tutto quello che c’è lì vicino.
Ma davvero le parole fanno la differenza? Penso a un esempio che hai citato qualche tempo fa: Hubspot che ha aumentato del 46% il numero di click cambiando una call to action da “Contact Sales” a “Talk to Sales”.
Eccome se la fanno. Se le parole non facessero la differenza, i brand non starebbero lì a fare i test tutto il tempo, a limare i testi, a fare i test sui testi.
Pensando anche alla mia esperienza di utente, io vedo la reazione che ho di fronte a certe parole. E io sono un’utente un pochino scafata.
Vi faccio un esempio. Fra le aziende che seguo c’è Ecco Verde, famosissimo negozio di cosmetici naturali. Guardo sempre volentieri il loro sito e le loro newsletter e faccio caso alle loro call to action.
Inviano molte email e perciò leggere sempre “acquista” sarebbe pesante. Per questo, quando promuovono i nuovi arrivi, scrivono “Curiosa ora”, “Dai un’occhiata”. Io lo so benissimo che in realtà loro vogliono che io alla fine compri il prodotto, però quando leggo quelle call to action ho una maggiore propensione a dare un’occhiata. Se vedo la parola “acquista” magari invece non clicco perché penso che in fondo quel prodotto già ce l’ho. Diversificare aiuta molto.
Esempi di call to action per ecommerce efficaci
Ci fai qualche altro esempio di call to action fatte bene?
Tra gli esempi di call to action, un primo caso ce lo offre sempre Ecco Verde e anche questo ci aiuta a capire come le parole contano.
Come ogni negozio di cosmetici che si rispetti, anche loro regalano i campioncini.
Solo che non usano la formula classica “Richiedi l’omaggio”. Perché il verbo richiedere implica una certa fatica da parte dell’utente. Sotto sotto, il non detto di richiedere, usatissimo nelle call to action, è “devi fare qualcosa”.
Ecco Verde invece scrive “Ricevi l’omaggio”. Fa una differenza enorme perché nella mia mente (e leggere è vedere delle cose nella mente) io vedo l’omaggio già pronto per me, non devo fare qualcosa.
Sono piccole cose, ma negli ambienti digitali la differenza la fa proprio la somma di tutti questi piccoli dettagli. È questo che rende la scrittura digitale così interessante.
Ma le call to action che metto al top sono quelle di una app: Runtastic. Anche queste della loro newsletter, strumento fondamentale nel marketing online.
Le loro call to action sono:
- brevi ma non troppo;
- essenziali;
- precise.
Ma soprattutto riportano nel microcopy il beneficio che si trae dal leggere, oppure aggiungono qualcosa a quello che c’è già nel titolo o nel piccolissimo abstract.
Esempio: se il titolo è “Cardio o forza, quale allenamento è meglio per te?”, la call to action è “Fai il quiz”. E così io so che non mi aspetta un lungo e noioso articolo ma un quiz.
Ecco, hanno questa meravigliosa capacità di anticipare il piacere, il benefit, oppure di aggiungere quella cosina in più che ti invoglia a cliccare. C’è un metodo dietro che uno poi può applicare a mille cose.
Trovo che sia un ottimo modello di esercizio su come fare le call to action. Io stessa mi esercito pensando “Ma questa call to action, se la facesse Runtastic con quel metodo lì, come la farebbe?”.
Consigli di lettura sul tema della call to action
Ci hai fatto scoprire un mondo in questa intervista. C’è qualche lettura che ci consiglieresti per approfondire il tema?
Sul web la letteratura su call to action e microcopy è sterminata ma spesso anche ripetitiva. Perciò in questo caso io consiglio un libro che a me ha insegnato tantissimo.
È un ebook corposo scritto da una copy israeliana, Kinneret Yifrah, e il titolo è “Microcopy. The Complete Guide”. Vi assicuro che è splendido. È un bel librone, parla del tono di voce complessivo, parla dei singoli microcopy (anche quelli a cui nessuno pensa come i placeholder) e poi è strapieno di esempi.
È vero che gli esempi sono tutti in inglese, però è vero anche che li possiamo riportare senza problemi in italiano. Basta pensare a quel modello e riportarlo nella nostra lingua, non è difficile.
Continua a leggere
- Test A/B- guida completa e consigli degli esperti di Google e HubSpot
- Sito in costruzione- la pagina coming soon per fare marketing in fase di pre-lancio
- Referral Marketing- 7 strategie per innescare il passaparola
- Come aumentare il tasso di conversione in un ecommerce
- Monetizzazione dei contenuti- come funziona e 3 errori da evitare
- Shopify blog- i 10 post più letti nel 2017
- Call to action (CTA)- significato e 7 esempi di invito all’azione per ecommerce
- Come promuovere un blog- 14 strategie per generare traffico
- Come fare blogging generando traffico
- 7 strumenti gratuiti per creare contenuti virali
Call to action per ecommerce: domande frequenti
Cos'è una call to action (CTA)?
La CTA è un invito all'azione che incoraggia l'utente a compiere una specifica azione, come iscriversi, acquistare o scaricare un contenuto. È solitamente un breve testo inserito in un pulsante o un link.
Quali caratteristiche rendono efficace una CTA per ecommerce?
Per essere efficace, una call to action deve:
- essere esplicita, semplice e chiara
- usare parole precise, che anticipino il beneficio per l’utente
- usare parole comuni, senza essere originale a tutti i costi
- assumere il punto di vista dell’utente
- essere molto visibile, sia graficamente che come collocazione
Quale call to action usare al posto di “Scopri di più”?
Usa parole che descrivano un’azione precisa, scegliendo verbi specifici come "Sfoglia il catalogo", "Guarda il video", "Leggi l’articolo", "Risparmia" al posto di frasi generiche, che non forniscono all'utente informazioni chiare su cosa aspettarsi dopo il clic.
Puoi anche usare CTA originali o umoristiche, ma solo se ben integrate nel tono generale del sito e se risultano naturali. La creatività è utile se non compromette la chiarezza e l’efficacia della call to action.